Quando si parla di design, al giorno d’oggi, tutto tende spesso a perdersi in discussioni fini a se stesse e meramente pointless sul gusto, sull’arte, sull’equilibrio e su altri concetti simili (e rigorosamente astratti). Il design – ovvero la pianificazione dell’aspetto grafico, progettuale e funzionale di un qualsiasi servizio, oggetto o utility – prescinde troppo spesso dall’aspetto funzionale (che i grafici tendono ad ignorare del tutto, in molti casi), ed è spesso troppo complesso da capire per l’uomo della strada; in molti casi, pero’, la scuola di pensiero dominante è ispirata alla semplicità, e ai principi enunciati da John Maeda nel suo libro (per l’appunto) Le leggi della semplicità. Un libro che in molti dovrebbero leggere, soprattutto coloro i quali hanno concepito le piccole “opere” che andremo a vedere.

Esempi di cattivo design: eccone 10!

Sorridi!

L’idea non sarebbe neanche male, se non fosse per la cattiva messa a punto della stessa: uno smile che non è uno smile, non è certamente un invito a sorridere, diciamo. Un ghigno che invita a fare qualsiasi cosa tranne quello che è scritto sullo sticker, insomma, e che poteva certamente essere realizzato un po’ meglio di così. (fonte)

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Ristorante asiatico (…o italiano?)

Questo secondo esempio denota una scelta non proprio adeguata dal punto di vista grafico: un cuoco coi baffi (stereotipo italiano) per un locale evidentemente di cucina asiatica. In questo caso l’errore è soprattutto di confusione per il cliente finale, che non riesce a focalizzare bene la natura del servizio offerto (fonte).

Acronimi poco azzeccati

Gli acronimi – ovvero le parole composte dalle iniziali di una frase – sono simpatici da proporre all’interno di spot, sanno spesso essere accattivanti e non c’è ragione di non farne uso, a patto che siano sensati, facili da pronunciare e non troppo lunghi. A volte, pero’, non si riesce a seguire questa semplice regola, con risultati piuttosto … originali (fonte).

Un tavolino da viaggio progettato … non troppo bene

Un lampadario nel posto sbagliato

A volte il mix tra moderno e classico può risultare in stili nuovi, innovativi ed accattivanti; quasi sempre… (fonte).

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Un cancello che non chiude nulla

Inutile progettare un cancello del genere (a quanto pare per una scuola) se poi è possibile passare di lato. Potrebbe essere una limitazione al passaggio dei motoveicoli o delle auto, in effetti, ma vista così fa abbastanza sorridere (fonte).

“Non essere felice!”

Questa foto mostra delle maglie con una scritta apparentemente rassicurante, che avrebbe dovuto essere “don’t worry, be happy” (cioè non preoccuparti, vivi felice, citazione della famosa canzone di Bobby McFerrin, riutilizzata in più occasioni e coverizzata da molti artisti). Peccato che l’ordine delle parole si presti ad una lettura decisamente diversa, in questo caso: Don’t be happy, worry (non essere felice, preoccupati) dal significato decisamente inquietante a confronto (fonte).

Curiosamente, sempre con la stessa sostanza, e sull’ordine corretto delle parole in una frase, esiste anche un esempio ulteriore, ovvero quello che segue (fonte).

The fart

La locandina del film documentario del 2017 The farthest (in italia The Farthest – Il viaggio più lungo) riporta una curiosa circostanza: il posizionamento grafico della scritta all’interno di un buco nero mette involontariamente in evidenza la sola frase The Fart, ovvero (letteralmente) “il peto” (fonte).

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Indicazioni ambigue

A volte le indicazioni di un bagno possono lasciare qualche dubbio interpretativo: è quello che succede in questa singolare situazione (fonte).

Gestire male lo spazio

A volte si progetta bene soltanto in parte, con lo spazio disponibile che non viene sfruttato nella sua interezza. Questo esempio di progettazione di due rampe di scale non sembra essere proprio ideale, non vi sembra? (fonte)

 

Di leultime.info

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